venerdì 31 ottobre 2014

Genitori Digitali - Intervista per il Messaggero di Sant'Antonio


INTERVISTA A CATERINA CANGIÀ, ARTICOLO DI GIULIA CANANZI



Sotto sono riportati alcuni estratti dell’articolo. Per l’articolo completo cfr. G. Cananzi, Genitori Digitali in «Messaggero di Sant’Antonio», 1320 (Ottobre 2014) 116, pp.36-43.
L'avvento delle nuove tecnologie sta cambiando profondamente anche il ruolo dei genitori. Come si fa a essere padri e madri efficaci nell'era digitale?
Ne parliamo con tre esperti diversissimi per estrazione, convinzioni e background: Caterina Cangià, pedagogista e docente all’Università Salesiana di Roma; Barbara Volpi, psicologa, dottore di ricerca alla Sapienza di Roma; Marc Prensky, newyorkese, scrittore e innovatore nel campo dell’educazione.

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Internet che meraviglia! Uno dei modi più efficaci per i aiutare i ragazzi a trarre il meglio dalle nuove tecnologie è quello di conoscere gli indirizzi giusti. Ne è certa Caterina Cangià, docente salesiana, che al tema ha dedicato gran parte del suo ultimo libro: Generazione Tech, crescere con i nuovi media (ed.Giunti). Il consiglio vale per i genitori, ma ancor più per gli insegnanti, perché la Rete è una vera miniera di materiali e contenuti. Con un avviso però «La tecnologia da sola non potenzia l’apprendimento: sono indispensabili una pedagogia e una didattica innovative». […] «È utile far ricorso alla tecnologia – afferma Cangià – per rendere più affascinante il sapere. La scuola, in particolare, deve svecchiarsi approfittando di queste opportunità, continuando tuttavia a essere il luogo dove si gusta la lentezza, l’approfondimento, l’arte maieutica di cercare risposte da sé. E senza mai dimenticare ciò che davvero i ragazzi chiedono a genitori, insegnanti, educatori è la certezza di star loro a cuore».

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Nuovi sherpa del web. Conoscenza e attenzione sono fondamentali anche per Caterina Cangià: «La prima cosa che dovrebbe fare un genitore per aiutare il figlio a usare bene la tecnologia è mantenere lui stesso per primo un atteggiamento orientato alla realtà e utilizzare la tecnologia quando arricchisce e completa la realtà, non quando la sostituisce. Vedo invece tanto adulti usare la tecnologia a sproposito, essere risucchiati dal suo fascino, trascurando il dialogo e la comunicazione diretta di cui i ragazzi hanno estremo bisogno. Ne vedo altri che, per incuria o ignoranza, lasciano i figli in mano alle tecnologie, quasi si trattasse di un nuovo tipo di baby sitter. In un caso e nell’altro viene a mancare il ruolo del genitore che deve invece essere aggiornato, deve saper spiegare i possibili effetti negativi, deve essere sempre disposto al dialogo e nello stesso tempo fermo con il figlio quando vede un pericolo, così come farebbe per un cibo sbagliato. Molti genitori, invece, non conoscono affatto il mondo dei loro figli».

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Rischi poco virtuali. «Alla relazione da muretto, da strada, da supermercato – afferma Cagngià – si sostituisce quella attraverso un supporto elettronico, che prevede sempre meno il ricorso del faccia a faccia. Ma in questa comunicazione mediata i giovani perdono i “tratti prosodici” cioè tutti quei segni non verbali quali il ritmo, l’intonazione, l’espressione del volto, che permetterebbero loro di comprendere meglio l’interlocutore e di correre ai ripari se si è detto qualcosa che ferisce. In Rete sale il rischio di creare fraintendimenti o di sfiorare il bullismo, proprio perché non si percepiscono più nella loro complessità i sentimenti degli altri e gli effetti di ciò che diciamo e facciamo nel mondo virtuale».

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La prova della realtà. «Secondo la teoria dell’attaccamento di John Bowlby (psicologo e psicoanalista) una sana relazione tra genitore e figlio è quella in cui il piccolo sa che allontanandosi dal parco, se gli succede qualcosa, il genitore è pronto a soccorrerlo [dice Volpi]. Oggi non possiamo ignorare i parchi virtuali in cui vanno i nostri figli. La genitorialità digitale, come io la definisco, è proprio riuscire a costruire questa base sicura anche nel mondo di internet».
Ma come farlo concretamente? «Innanzitutto – afferma Cangià – educando a una tecnologia a servizio di tutte le meraviglie che possiamo fare nel mondo reale. Ma per ottenere il risultato dobbiamo compiere alcuni passi. Primo; essere consapevoli dell’uso che noi stessi facciamo delle tecnologie; inutile regolarle ai nostri ragazzi se poi noi per primi ne siamo assorbiti; coerenza e dialogo sono fondamentali. Secondo: aggiornarci sui rischi e  le possibilità della Rete, scegliendo testi divulgativi ma scientifici, non una chat qualsiasi. Terzo: fare attività insieme con i propri ragazzi, dal bricolage alla musica, alla vita all’aria aperta. Quarto: spiegare i rischi delle nuove tecnologie e la necessità di avere costantemente relazioni faccia a faccia. Quindi ben vengano gli amici reali e le esperienze fatte assieme. Quinto: dare il gusto di un dialogo con se stessi silenzioso e interiore che, – per chi crede – potrebbe sfociare nel dialogo con l’Assoluto.


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Games. Utili se… Ma quali sono i videogiochi “buoni”? «Quelli di simulazione e di avventura – afferma Caterina Cangià. Buoni anche quelli di strategia, per cui bisogna pensare per arrivare al risultato. Da limitare invece i classici compulsivi come gli sparatutto e i picchia duro». Altro tema scottante è il tempo da concedere: «Bisogna regolarlo, patteggiando – consiglia Barbara Volpi – magari dopo i compiti e comunque inframmezzando altri giochi». Più netta Cangià: «Io sarei per la mezz’oretta ogni ora e mezza di altra attività, senza cedere al classico “Fammi giocare finché arrivo al prossimo livello”. Salva e basta».

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